Frammenti – a proposito dei cambiamenti nel testo del “Padre nostro”

Pubblicato giorno 14 novembre 2020 - In home page

Insegnaci a pregare

Gli apostoli, conquistati dalla persona di Gesu’, dalla sua parola e dalle opere che compiva, vedevano che lui pregava in modo assiduo e fedele. Con spontaneità, gli dicono: “Insegnaci a pregare”; con queste parole chiedono di essere educati alla preghiera.

Gesù, con grande disponibilità, chiarisce che pregare non è recitare formule, non è neppure dire tante parole, ma è entrare in un rapporto dialogico con Dio, che è Padre di tutti gli uomini, per essere in comunione con lui.

Questa relazione, espressa dall’aggettivo “nostro”, va vissuta con intimità familiare, nella fiducia e concretezza degli interessi fondamentali dell’esistenza. Gesù fa capire che chi prega non segue delle norme, non paga un tributo, si riconosce figlio e loda, ringrazia, cerca,  domanda, chiede perdono per se’, per i fratelli e le sorelle.

Nel testo che Gesu’ espone e che conosciamo bene, c’è una prima parte, in cui prevale la priorità data alla gloria di Dio. E’ la parte contemplativa; la persona che prega, si sente in unità, con il grande cammino della storia, si inserisce nel progetto di amore che Dio ha pensato per essa.

Nella seconda parte, prevale la richiesta che riguarda le esigenze fondamentali dell’esistenza umana: il pane, il perdono, la difesa dal male. L’uomo che prega si riconosce povero, debole, insicuro, in perenne stato di necessità, consapevole di essere peccatore.  Si sente fragile, di fronte all’attrattiva del male, non si considera migliore degli altri.

Il Padre nostro ha una forte valenza cristologica, perché la fede in Gesù ci fa partecipare alla sua dignità di figlio. San Giovanni dice che, “a quanti lo hanno accolto, ha dato il potere di diventare figli di Dio” (Gv 1,12). Possiamo affermare, che quando preghiamo, il Padre riconosce le parole del Figlio, nelle nostre parole.

Nella chiesa delle origini, cioè nei primi secoli dopo Cristo, il Padre nostro era la preghiera che imparavano gli adulti che si preparavano al battesimo.

Noi recitiamo il Padre nostro fin da bambini, ma dovremo imparare due espressioni nuove, che sono state scelte, perché la preghiera sia espressa, per quanto possibile, con i termini corrispondenti a quelli usati da Gesù.

Il Padre nostro rinnovato

La prima: non diremo più: “come noi li rimettiamo ai nostri debitori” ma diremo: “come anche noi li rimettiamo…”. È aggiunta una sola parola, che però ci interroga e ci chiama a fare una scelta alta, libera, ma impegnativa: quella di essere cristiani che vivono davvero la misericordia verso i fratelli e le sorelle. In altre parole, perdonati da Dio, a nostra volta, perdoniamo.

La seconda: non diremo più: “non ci indurre in tentazione”, ma diremo: “non abbandonarci alla tentazione “. Queste parole esprimono il nostro affidarci al Signore, che, solo, può donarci la capacità di superare l’attrattiva del male. Siamo creature fragili e facilmente siamo egoisti, poco generosi, indifferenti alle necessità dei fratelli e delle sorelle, specialmente quelli meno fortunati. Con le sole nostre forze, non siamo capaci di scegliere ciò che ci fa essere uomini e donne, che si sforzano di prendere dal Vangelo le coordinate per vivere. Ci deve dare gioia, sentire che il Signore cammina al nostro fianco, sempre, valorizzandoci, non umiliandoci.

In sintesi, non pregheremo un nuovo Padre nostro, ma un Padre nostro rinnovato e migliorato nella traduzione italiana dal testo ebraico e greco.  Gli studiosi della Sacra Scrittura hanno cercato, con tanta preghiera e tanto studio, di avvicinarsi il più possibile alle parole espresse da Gesù, che diventeranno “nostre”, nella preghiera.

Proprio un bel dono!

S.C.