Frammenti – Ho aperto la Bibbia …

Pubblicato giorno 15 gennaio 2021 - In home page

Ho aperto la Bibbia… (di Ernesto Olivero, 7.10.2020)

Presi la Bibbia e cercai quel versetto, del profeta Isaia, che anni dopo sarebbe entrato nella storia dell’Arsenale della Pace: “Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci; una nazione non alzerà più la spada contro un’altra nazione, non impareranno più l’arte della guerra” (Is 2,4).

Non conoscevo direttamente la Bibbia. Decisi allora di leggerla dalla prima pagina all’ultima, dalla a alla zeta, ogni parola. All’inizio, mi fu quasi impossibile riuscire a leggere di seguito un intero capitolo. Per la prima lettura completa credo di averci messo tre o quattro anni. Poi mi sono imposto un metodo: voglio leggerla tutta una volta all’anno. Finché mi sono detto: perché non leggerla due, tre, quattro, sei volte all’anno?

Ne sono rimasto affascinato. Contiene la storia dell’umanità, la storia di Dio incarnata nella nostra. Leggo e ascolto, leggo e mi interrogo, leggo e prego e intanto confronto la mia vita, cerco indicazioni e consigli preziosi su come affrontare i problemi e le difficoltà che incontro. Mi sono accorto, tante volte, che quando ho un problema e sono veramente pronto ad ascoltare “da abbandonato”, la Scrittura mi offre una chiave per affrontarlo. È il libro più concreto che conosco. Ha un fascino misterioso, ma non è un libro magico, è un libro sacro, a cui bisogna avvicinarsi “togliendosi i sandali”, cioè con profonda umiltà di cuore, di mente, di comportamenti.

Ora porto sempre la Bibbia con me. Forse è la Bibbia che ha girato di più il mondo, ha fatto milioni di chilometri, a piedi, in aereo, tantissimi in macchina. La porto con me; mi porta con lei. Ha il profumo del mondo, ha il profumo del deserto, delle favelas, delle carceri, di tante autostrade, ma ha specialmente il profumo di Dio. E il profumo di tanti amici che me l’hanno letta. Ho dimenticato tante volte a casa il portafoglio, la Bibbia non l’ho mai lasciata.

Ogni volta che leggo un brano della Bibbia penso sempre che tutto è già stato detto, ogni parola è già stata sviscerata. Ma a quel brano una cosa sola manca. Manchi tu, manco io. Manca cosa significa per me, cosa dice al mio cuore. Se mi inginocchio davanti alla Parola, se la amo, se “la lascio dire” con rispetto, forse dal mio cuore nascerà un racconto tutto nuovo. Il mio grazie si unirà ai grazie di chi, nei millenni, come me ha letto, gustato, meditato la bellezza di Dio.

Quando sono a tu per tu con una persona o partecipo a qualche incontro, alla fine di tutto mi chiedo: “Che cosa ho imparato?”. Non è una domanda retorica, ma la consapevolezza che in ogni momento posso imparare qualcosa da un volto, da una storia, da una situazione. Negli anni ho cominciato a chiederlo anche ai miei amici quando ci incontriamo: “Cosa avete imparato?” e questa domanda tira fuori il meglio. Mi sembra un modo per crescere, un metodo per conoscersi, per entrare un po’ di più in intimità.  Nel “cosa ho imparato” anche gli altri amici possono imparare qualcosa, anche io imparo e così la fraternità cresce. Da tempo, uso lo stesso metodo anche per la mia preghiera. Ogni volta che leggo un passo del Vangelo penso che Gesù voglia insegnarmi qualcosa e mi chieda: “Ernesto, che cosa hai imparato?”. Quella sintesi diventa il mio piccolo o grande bagaglio spirituale quotidiano e si materializza in appunti, pensieri, poesie …

(tratto dall’Introduzione al libro “Il Vangelo secondo il Vangelo. Una Parola per me” ed Priuli & Verlucca, SCARMAGNO, Torino 2020)