I Segni dei Tempi #12 – Popolocrazia

Pubblicato giorno 11 maggio 2018 - In home page

Popolocrazia, una possibile metamorfosi del nostro sistema politico

Il saggio di Ilvo Diamanti e Marc Lazar “Popolocrazia, la metamorfosi delle nostre democrazie“, pubblicato lo scorso mese di marzo dalla casa editrice Laterza, offre una chiave di lettura illuminante sulla attuale fase di stallo della politica italiana.

I movimenti populisti – dice all’inizio del suo libro Diamanti – stanno inanellando in Europa un successo elettorale dietro l’altro, eppure finora si sono dimostrati incapaci di vincere in modo sistematico. Volete saperne il motivo? Si tratta di formazioni politiche anti sistema che però stanno dentro il sistema, in equilibrio precario nel crinale che separa il rigetto verso qualsiasi forma di mediazione politica, e l’aspirazione ad una democrazia diversa. Esiste una tensione molto forte tra chi vuole comunque fare parte del gioco democratico e i protestatari radicali: il problema da questo punto di vista è: come interloquire con gli altri partiti? Come essere presenti nelle istituzioni?
E qui Diamanti sottolinea un altro paradosso, che nei giorni scorsi è stato sotto gli occhi di tutti: un “processo mimetico” – così lo chiama – per cui i soggetti politici tradizionali accentuano uno stile di comunicazione populista, mentre i movimenti populisti cercano di “normalizzare” la loro immagine per ragioni “tattiche”.

Ma come si può definire il populismo, e come nasce? Il populismo compare sempre in periodi di crisi, e presenta alcuni tratti comuni: un appello continuo al “popolo sovrano” contrapposto alle élite incapaci o corrotte, una ostilità marcata verso l’apparato burocratico dello Stato, un’enfasi sui valori nazionali rispetto all’universalismo e alle istituzioni sovranazionali, e sopratutto una dimensione plebiscitaria che intende eliminare quei “corpi intermedi” che si frappongono tra il popolo e chi esercita il potere.

Il populismo ha una lunga tradizione in Italia, e contrariamente a quanto si possa pensare ha attraversato trasversalmente e in forme differenti partiti e personalità di destra e di sinistra: basta pensare al “Qualunquismo” di Giannini, la lotta alla partitocrazia del partito radicale, gli appelli al popolo di Sandro Pertini e, in tempi più recenti, le vicende politiche di Berlusconi e delle Lega Nord, fino ad arrivare al Movimento 5 Stelle. Oggi, tuttavia, esso ha assunto una posizione preminente nel nostro paesaggio politico, al punto da prefigurare il possibile passaggio ad una forma di governo chiamata “Popolocrazia”. Punto centrale di questo passaggio sarebbe l’abbandono del principio di rappresentanza, su cui finora si è basato il sistema democratico occidentale: secondo i populisti ogni delega nasconde una insidia, un potenziale travisamento della volontà popolare. Per questo motivo si privilegiano forme di democrazia “immediata”, ed una visione della politica intesa principalmente come denuncia e sorveglianza. Il sentimento prevalente è quello della diffidenza verso gli altri, tanto che proprio la sfiducia (e non una visione condivisa del futuro) è diventata la principale risorsa alla quale attingere per ottenere consenso politico: nel risentimento sono accomunati i politici corrotti, l’Unione Europea, la globalizzazione, l’immigrazione, l’Islam, e infine la categoria onnicomprensiva degli “altri” (“Gli altri se se ne presentasse l’occasione, approfitterebbero della mia buona fede”, così hanno risposto 6 italiani su 10 ad una indagine citata nel saggio di Diamanti).

Eppure il riferimento al popolo sovrano, come unico soggetto legittimato ad esprimere una volontà politica, presenta due aspetti molto preoccupanti. Il primo è che non si può parlare di popolo come se fosse una entità monolitica: esistono persone con interessi diversi, culture differenti, appartenenze che hanno bisogno di essere esplicitate e rappresentate in maniera articolata e non uniforme. La scomparsa dei corpi intermedi, teorizzata dai movimenti populisti, ridurrebbe il popolo al livello di una plebe indistinta, e provocherebbe una deriva plebiscitaria molto pericolosa. Anche perché – ed è questo il secondo aspetto problematico – il mito della Rete, la piazza virtuale dove a tutti è possibile intervenire, discutere e decidere, è appunto “un mito”, cioè non corrisponde a realtà per una serie di motivi: i meccanismi che veicolano i contenuti sono opachi e manipolabili; non è vero che uno vale uno; ci sono persone capaci di orientare le discussioni, e sopratutto ci sono moltissime persone che non utilizzano la rete.

Un’ultima annotazione: la popolocrazia, sottolinea Diamanti, è un vento forte che spira dalle periferie del mondo. Come rispondere al risentimento e alla frustrazione di aree territoriali e gruppi sociali che si sentono lontani, esclusi dai centri di potere? Bisognerebbe ripartire dalle periferie… Ma questo, in fondo, ce lo aveva già ricordato papa Francesco.

Giancarlo Cartechini