I Segni dei Tempi #5 – La Veglia reciproca

Pubblicato giorno 22 gennaio 2018 - In home page

Proviamo a fare sintesi di tre eventi: la lettera pastorale del vescovo Nazzareno “Ri-farsi prossimo”, il discorso del vescovo Mario di Milano “Il Buon Vicinato” e una esperienza di animazione sociale che si sperimenta a Collevario, San Francesco, Santa Croce: “Antenne Sociali”.
Qual è il filo rosso che unisce queste tre iniziative? La veglia reciproca (prof. Ivo Lizzola), l’attenzione all’altro.
Certamente c’è un crescente bisogno di relazione con gli altri, di avere una comunità di amici, ma è anche vero che c’è la paura di impegnarsi in una relazione amicale duratura, esigente e che prevede lo spendersi per l’altro. In una esperienza di questo tipo si realizza quello che il Papa auspica per la Chiesa intera “una Chiesa in uscita”, si concretizza una persona “in uscita”. Serve cercare le persone che hanno bisogno di relazione e non aspettarle dentro la sagrestia o nel caldo del gruppo parrocchiale o di una associazione. La solitudine è certamente una delle nuove forme di povertà a cui dare risposta. Il volontariato può cercare e scoprire le persone “fuori radar” ed essere profezia per le istituzioni di ogni genere.

Nella lettera del Vescovo Nazzareno si parla di discernimento e di animazione sociale e questo vale anche in riferimento alle persone sole e al Buon Vicinato. È importante creare sinergie tra il discernimento di ogni singola persona e quello della comunità cristiana a cui essa appartiene. Riguardo ai modi in cui esercitare il discernimento comunitario, coerentemente con la Nota pastorale dell’Episcopato italiano, dopo il 4° Convegno ecclesiale di Verona al n. 26, ci sembra utile che ai vari livelli di partecipazione alla vita ecclesiale (consigli pastorali parrocchiali e consiglio pastorale diocesano) si possano creare gruppi tematici in cui coinvolgere persone con spiccata professionalità che si occupano dei fenomeni sui quali ci si intende interrogare. Peraltro la nostra diocesi è ricca di iniziative di animazione sociale e ci sembra quindi utile un’azione di conoscenza della realtà esistente, che porti alla luce questa ricchezza. Sono significative ad esempio le esperienze di sussidiarietà del privato sociale, le realizzazioni di un Welfare di comunità e le opere del Volontariato. È importante sapere, quindi, quali soggetti associativi operano nel nostro territorio e in quali ambiti tematici essi si esprimono. Occorre inoltre provare a creare luoghi di condivisione, ove possibile, tra tali soggetti, perché l’azione di animazione sociale si avvalga della ricchezza della pluralità di esperienze e di prospettive. Tutto questo crea attenzione e avvicina le persone.

Nel suo discorso il Vescovo Mario Delpini di Milano propone un’alleanza, un patto di buon vicinato, una risposta alla vocazione a creare legami. Questa proposta “rivoluzionaria” potrà cambiare il volto di un quartiere, di una città ed il modo di vivere di ognuno di noi. È estremamente interessante come questa proposta sia preceduta dall’elogio dei rappresentanti di tutte le istituzioni dedite alla prossimità: dai sindaci alle forze dell’ordine, dagli insegnanti agli operatori della sanità e così di seguito. Una scelta in radicale controtendenza in una stagione in cui si tende «a lamentarsi sempre di tutto e di tutti, contro quella seminagione amara di scontento che diffonde scetticismo, risentimento e disprezzo, che si abitua a giudizi sommari e a condanne perentorie e getta discredito sulle istituzioni e sugli uomini e le donne che vi ricoprono ruoli di responsabilità, voglio fare l’elogio delle istituzioni».

L’alleanza del buon vicinato riguarda ogni singola persona, «è frutto di un’arte paziente e tenace, quotidiana e creativa». Non si tratta di fare i “supereroi”: « Si tratta del gesto minimo, dell’attenzione intelligente, della vigilanza semplice che riconosce, per così dire istintivamente, il bene possibile e lo compie con la naturalezza dei semplici e dei forti». Un’arte quella del buon vicinato che nasce semplicemente con uno sguardo: «Mi accorgo che hai delle qualità e delle intenzioni buone: anche tu vorresti essere felice e rendere felici quelli che ami. Mi accorgo che hai bisogno, che sei ferito: anche tu soffri di quello che mi fa soffrire. Invito tutti gli uomini e le donne a rivolgere ai vicini di casa, agli abitanti del quartiere uno sguardo “straordinario”, libero dal sospetto e dal pregiudizio, che dichiari disponibilità all’incontro, all’intesa, alla prossimità».

A Macerata nel territorio di Collevario, San Francesco e Santa Croce si tenta di concretizzare queste intuizioni, di dare risposta al bisogno di relazione, attraverso il progetto “Antenne Sociali”.
L’animazione sociale non è partita dai libri sulla solitudine ma dal parlare con persone sole:
Sono sola. Mia figlia non ha tempo per venire, mi telefona tutti i giorni nel tratto di strada che da casa va in ufficio. I nipoti non vengono mai a trovarmi. La solitudine fa impazzire. Credo in Gesù e mi compensa la solitudine dandomi tanto coraggio. Oggi, a causa del terremoto, sono sola in questo palazzo di 9 appartamenti, sono scappati tutti via. Prima sentivo camminare e mi faceva compagnia” (F., 84 anni, vedova da 5);
È stato con la cooperativa fin tanto che faceva qualche lavoretto tecnico, quando ha iniziato a fare lavori con gli animali, non accettando questo lavoro, ha iniziato a fare ‘casino’ e quindi è tornato a casa. Poi grazie all’assistente sociale ho conosciuto altre famiglie e abbiamo fondato l’Anffas. Adesso facciamo laboratori e piscina o altri piccoli lavori. Abbiamo fatto un corso di cucina, preparavano e mangiavano. Ora ha un gruppo […] La solitudine è tanta perché da sempre sei guardata con commiserazione. Qualcuno mi dice che sono molto forte ma forse è più vero che sono disperata. Tante volte non dormo, ho preso farmaci. Tante volte vedo che fa cose strane, non riesce a vestirsi ecc. […] A noi servono i trasporti e l’Anteas ci aiuta. Dopo va bene tutto: abbiamo bisogno di un’area dove realizzare la sede che non deve essere isolata ma al centro di un agglomerato di persone che accetti i ragazzi” (A., 65 anni, famiglia con un ragazzo disabile).
Mi chiamo Bianca, ho 82 anni e sono stata sposata con Alfonso per cinquant’anni poi, 7 anni fa, ci ha lasciati. Adesso vivo di ricordi. Pensare a tutti gli anni trascorsi con mio marito mi commuove. … Quello che adesso mi pesa è la solitudine, tanto tanto. Questo non riesco a superarlo. La mattina c’è sempre qualcosa da fare in casa, nel pomeriggio, ci sono ore vuote. … I momenti che mi pesano di più, sono quelli quando torno a casa, dopo la spesa o un’uscita, e trovare tutto spento e nessuno che mi chiede com’è andata, il momento dei pasti, qualche volta parlo da sola… Le persone sole hanno bisogno di compagnia, anche telefonica.

Sono questi alcuni dei volti e dei cuori che hanno interpellato le volontarie e i volontari di Anteas. Storie in molti casi di normale vita quotidiana in cui le persone rischiano di finire “fuori radar” e di scivolare nell’invisibilità per poi tornare visibili solo a fronte di eventi drammatici. Potremmo dire storie che sfiorano le nostre famiglie e la vita delle nostre comunità, chiamando in causa il nostro essere figlie e figli, padri e madri, mariti e mogli, compagne e compagni. Nello stesso tempo ci sentiamo chiamati in causa anche per le nostre responsabilità di cittadine e di cittadini, di figure educative, di persone che pensano come propria la responsabilità di tessere legami di comunità. In un contesto culturale in cui sembrano prevalere i solventi sui collanti, in cui l’altro è molto spesso una minaccia e in cui la logica della convenienza appare l’unica possibile. È la veglia reciproca.

Piergiorgio Gualtieri