Luoghi da abitare – riflessioni dopo le tre serate di “Dialoghi”

Pubblicato giorno 19 luglio 2017 - In home page

LUOGHI DA ABITARE

È nel giusto chi sostiene che lo spaesamento dell’uomo contemporaneo sia frutto d’un disagio indotto dalla crisi dell’abitare. Già, perché “abitare” per l’uomo non è uno stare in – come vorrebbe far credere un’ottica esclusivamente funzionalista; esso è, piuttosto, uno stare con. Sentirsi ospitali perché felicemente ospitati: è questa l’essenza dei luoghi familiari. Tra questi luoghi, i cortili hanno l’incanto dei giochi d’infanzia o l’aura di quella libertà che si assaporava uscendo dalla scuola o correndo fuori dopo giornate di pioggia. Il cortile è un luogo protetto, ma mai esclusivo; a differenza del giardino privato, esso è accessibile e, perciò, spazio d’incontro e di amicizia.

Oggi, purtroppo, i centri storici diventano sempre più spesso appannaggio di uffici e i cortili che lì si trovano – veri orti un tempo brulicanti di incontri – si trasformano in polverosi pezzi di museo che, quando va bene, hanno una funzione meramente ornamentale.

Assecondando il desiderio di ridare dignità a questi spazi urbani che sono anche luoghi di memoria ed identità, l’associazione culturale “Dialoghi” della parrocchia dell’Immacolata ha promosso tre incontri che si sono tenuti in altrettanti ambienti maceratesi che rischiano di essere dimenticati o poco valorizzati: la panoramica e antica terrazza della chiesa di Santa Croce, il neo restaurato Orto dei pensatori e la piazzetta presso i giardini di Fontescodella. In questi tre incontri, sono stati proposti racconti, testimonianze e musica relativi ai nostri Sibillini, altrettanti luoghi questi che, dopo il terremoto, patiscono la concreta possibilità dell’abbandono. Non sono mancate le informazioni turistiche necessarie per ritornare a camminare con sicurezza e passione lungo i sentieri che tratteggiano quelle montagne oggi ferite.

Nel proporre le sue idee “Dialoghi” si è data un metodo: “coinvolgersi” – come invita papa Francesco in Evangelim Gaudium. Coinvolgersi non è coinvolgere; il movimento è esattamente contrario. È così che si sono cercate qualificate e generose collaborazioni per realizzare l’itinerario: il CAI, la cooperativa “Risorse”, la “Distilleria fotografica” ed altre ancora.

La prima sera, presso l’antica terrazza della Chiesa di Santa Croce, è stato presentato il libro Il muratore di Dio di Vincenzo Varagona; esso narra l’operoso silenzio di frate Pietro che ha portato al restauro dell’eremo di San Leonardo presso l’Infernaccio. La seconda sera, presso l’Orto dei pensatori in Vicolo Illuminati, è stata descritta l’attuale situazione dei monti Sibillini, con la partecipazione di esperti e di testimoni, tra i quali il sindaco di Castelsantangelo, che vivono, resistendo, nel luogo. La terza sera, nei giardini di Fonte Scodella, è stato raccontata la speranza di futuro di chi, con la tipica tenacia e laboriosità della gente di montagna, vuol ricominciare affinché amici, turisti ed attività imprenditoriali ritornino in quei luoghi.

Le tre sere si sono concluse con una riflessione che qui vi proponiamo e che vuole esprimere la ricchezza delle implicazioni racchiuse nell’itinerario appena conclusosi.

“Abito, dunque sono.

L’abitare è gesto così umano e abituale da nascondere facilmente la propria eloquenza entro una quotidianità distratta. Nell’abitare lo spazio si curva e diventa luogo, acquista un nome, un identificativo che lo rende unico e familiare. Lo spazio diventa casa ed è allora che ci si sente ospitati da una terra che ha il sapore della patria, della memoria dell’infanzia, della solidarietà tra le generazioni.

Abito, dunque sono.

L’abitare è pure gesto divino: Dio, preoccupato per la sorte d’Adamo, rivolge a questi anzitutto la domanda “Dove sei?” e, quando la paura impedisce alla coppia originaria di lasciarsi trovare, egli sceglierà di abitare tra gli uomini, iniziando da un grembo di donna, per concludere la propria esistenza umana fuori dalle mura della città, alla stregua di un forestiero senza casa. Da allora, come l’uomo è da sempre impegnato a strappare al caos e a forze primordiali spazi che diventano così abitazioni, così anche Dio ha ingaggiato una lotta per rinnovare il cielo e la terra affinché diventino casa della giustizia per ciascun figlio d’Adamo.

Abito, dunque sono.

L’abitare non è uno stare in, ma uno stare con; è la relazione vissuta con gli altri e con l’ambiente; per questo la casa ha mura che garantiscono l’intimità, ma anche finestre e porte, affinché dalla casa si possa guardare il mondo, si possa entrare ed uscire. Per la propria casa, il proprio paese, la propria terra ci si può impegnare per tutta la vita, perché la casa è lo spazio dove impariamo ad affidarci, il posto che ci ispira l’energia per uscire e che ci ristora quando vi facciamo ritorno esausti.

Abito, dunque sono.

Che siano i cortili trascurati di Macerata o i Sibillini feriti dal terremoto, il gesto dell’abitare è profezia di una rinnovata responsabilità; custodia e cura sono le sue declinazioni, proprio come il primo giardiniere dell’Eden fu chiamato a fare. L’abitare è il gesto del singolo, ma anche di un popolo che, quando abita insieme, fa sgorgare la festa.

Abitiamo, dunque siamo.”