Fermenti #3 – Segreti del gioco di squadra

Pubblicato giorno 28 novembre 2017 - In home page


La comunità non è un condominio

L’opinione pubblica alle ultime prestazioni della nazionale azzurra ha rimproverato di avere delle ottime individualità ma di non riuscire a fare squadra. È necessario avere delle condizioni per poter “lavorare” in gruppo. Spesso si confonde tra il lavoro in gruppo e trovarsi bene in gruppo. Non serve andare in pizzeria insieme, ci sono gruppi che lavorano bene insieme senza rapporti amicali. Per farlo è necessario che ognuno contribuisca con senso di responsabilità condivisa il senso del progetto che si sta portando avanti. Chi lavora in equipe sa accettare sia le osservazioni positive e nello stesso tempo a anche le critiche. Ma qual è il tessuto connettivo per far funzionare un team?

Credo che il segreto sia mettere le persone intorno a un progetto, o meglio un sogno da realizzare. In un epoca interconnessa tutte le realtà chiedono di saper lavorare con gli altri. Già l’esser soli davanti a un computer porta ad un individualismo che può generare solitudine. Ma un lavorare insieme non si può improvvisare se non si parte dalla scuola che spesso ha un sistema educativo ottocentesco che forse non prevede di sviluppare e lavorare in gruppo. Ovviamente non si ha la pretesa di intervenire su cosa fare a scuola ma su come farlo, su come rendere più coinvolgente un argomento come coinvolgere gli alunni. La scuola è forse una dei luoghi privilegiati da cui far partire un processo educativo di coinvolgimento dei ragazzi.

Veniamo alla nostra pastorale!
Quali sono le attese del nostro territorio? Individuate le esigenze più profonde il cammino come detto in termini laici si trasforma in sinodalità che nasce da una condivisione profonda che ha le sue radici nel battesimo e nell’essere chiamati tutti al servizio del regno di Dio. Spesso si rischia di richiamare ad un’appartenenza senza offrire un’esperienza si è entrati come dice papa Francesco in un’epoca nuova che richiede non tanto un machillage o una verniciatura della Chiesa quanto una profonda conversione pastorale. Va corretto ogni clericalismo che non è tipico solo dei presbiteri ma anche di tipo laicale che si barricano in un linguaggio, in un modo di esser chiesa chiusa al calduccio delle sue “sagrestie”, timorosa di uscire e di guardare le attese più profonde che sono nel proprio territorio. La comunità va rivitalizzata da una comunione tra esperienze diverse senza trasformarsi in un condominio dove ognuno vive a riparo dell’altro.

Luigi Taliani