Tra gli Altri #3 – Per una spiritualità del quotidiano (II)

Pubblicato giorno 1 febbraio 2018 - In home page

Ciò che caratterizza il quotidiano è anche ciò che lo rende poco nitido: la ripetitività. Tutto quello che è vitale deve essere rinnovato quotidianamente, ma ciò che è ripetuto è anche eseguito meccanicamente e distrattamente. Il quotidiano è un susseguirsi di giorni sempre uguali e, perciò, monotoni a tal punto da essere indistinguibili tra loro; non chiediamo talvolta: “che giorno è oggi?” mostrando così la sbadataggine cui la ripetitività ci condanna. Nel feriale non ci sono variazioni; tutto è normale perché tutto è una replica e così, la minestra di ogni giorno, diventa la solita minestra. Il quotidiano è una superficie non vivacizzata da alcuna increspatura; esso è uniforme e fatto di routine e ovvietà: lavarsi i denti, attendere l’ascensore, rispondere al telefono, riporre un oggetto al suo posto, comperare le medicine, pagare le fatture…
Tutto si agita nel quotidiano, eppure c’è un’immobilità imperturbabile di fondo: tutto quello che si fa oggi non produce nessun cambiamento e domani sarà ripetuto, perciò quanto si fa pare essere banale: ogni giorno, alla sera, all’urgenza delle tante cose fatte si sostituisce il disagio recato dalla difficoltà di cogliere i nessi esistenti tra i numerosi compiti assolti.
Questa descrizione del quotidiano potrebbe essere mitigata riconoscendo che esso è attraversato non solo da impegni, ma anche da incontri con volti che portano novità alla monotonia dei giorni. Però, per lo più, nel quotidiano non si incrociano i volti degli altri, ma facce confuse che sfrecciano veloci accanto a noi nei marciapiedi, nelle aule, negli uffici, e persino tra le mura domestiche: discenti, docenti, colleghi, utenti, familiari, passanti, pedoni, clienti, fornitori… Nel quotidiano feriale lo spazio è pieno di cose da fare, da dire, da ricordare, da annotare; ognuna di esse è un diaframma che rende difficile scorgere i volti.
In Mt. 24,37-39 Gesù pronuncia le seguenti parole: “Come furono i giorni di Noè, così sarà la venuta del Figlio dell’uomo. Infatti, come nei giorni che precedettero il diluvio mangiavano e bevevano, prendevano moglie e prendevano marito, fino al giorno in cui Noè entrò nell’arca e non si accorsero di nulla finché venne il diluvio e travolse tutti: così sarà anche la venuta del Figlio dell’uomo”. Prima di annegare nel diluvio, la generazione di Noè, stando al testo matteano, è annegato nella propria incoscienza, nella non vigilanza, nell’inconsapevolezza di ciò che si stava preparando. É annegata in un quotidiano divenuto orizzonte totalizzante e stordente, capace d’intontire e inebetire. Quella generazione non viene accusata di particolari malvagità, ma di “non essersi resa conto di nulla”. “Mangiavano, bevevano, compravano, vendevano, piantavano, costruivano”, dice la versione lucana del testo (Lc 17,38). I verbi utilizzati costituiscono l’ossatura della vita quotidiana e le relative azioni non sono per nulla riprovevoli in sé. Tuttavia il testo ci interpella sulla possibilità di vivere senza “accorgerci di nulla”: non è nella profondità che si annega, ma nella superficialità.
Qui è chiaro il riferimento alla vigilanza. Resta da vedere se la vigilanza cui il Vangelo ci invita e dalla quale il quotidiano sembra distoglierci è rivolta alla possibilità della morte, come tanta ritrita e deludente catechesi si ostina a riproporre. Ricordo sempre con nostalgia ed umorismo la scena di un film di Troisi in cui un timido uomo medievale, di fronte ad un impetuoso predicatore che insisteva minaccioso nel ricordargli che sarebbe dovuto morire, rispondeva ossequioso che, per non dimenticarlo, se lo sarebbe scritto!
Forse, il Vangelo ci invita ad una vigilanza quotidiana non motivata dalla paura, ma più orientata alle occasioni di bene che il quotidiano, con la sua monotonia, rischia di nasconderci. Non lasciarci sfuggire le quotidiane occasioni di bene: ecco la vigilanza a cui siamo invitati e sulla quale mi soffermerò la prossima volta.

F.G.