Tra gli Altri #6 – La mistica della fraternità (I)

Pubblicato giorno 28 aprile 2018 - In home page

Il papa, nell’ultimo convegno della Chiesa italiana a Firenze, nell’omelia allo stadio Franchi, prendendo spunto dal Vangelo, iniziava la sua riflessione con una considerazione fondamentale per una Chiesa che si desidera “in uscita”.

“Nel Vangelo di oggi Gesù pone ai suoi discepoli due domande. La prima: «La gente, chi dice che sia il Figlio dell’uomo?» (Mt 16,13) è una domanda che dimostra quanto il cuore e lo sguardo di Gesù sono aperti a tutti. A Gesù interessa quello che la gente pensa non per accontentarla, ma per poter comunicare con essa. Senza sapere quello che pensa la gente, il discepolo si isola e inizia a giudicare la gente secondo i propri pensieri e le proprie convinzioni. Mantenere un sano contatto con la realtà, con ciò che la gente vive, con le sue lacrime e le sue gioie, è l’unico modo per poterla aiutare, formare e comunicare. È l’unico modo per parlare ai cuori delle persone toccando la loro esperienza quotidiana: il lavoro, la famiglia, i problemi di salute, il traffico, la scuola, i servizi sanitari… E’ l’unico modo per aprire il loro cuore all’ascolto di Dio. In realtà, quando Dio ha voluto parlare con noi si è incarnato. I discepoli di Gesù non devono mai dimenticare da dove sono stati scelti, cioè tra la gente, e non devono mai cadere nella tentazione di assumere atteggiamenti distaccati, come se ciò che la gente pensa e vive non li riguardasse e non fosse per loro importante”.

Stare tra gli altri è l’unico modo per ascoltare ciò che attraversa il loro cuore. Ma ascoltare è più di sentire; è la capacità di leggere tra le righe, di far affiorare l’inespresso e, forse, l’inesprimibile. In una parola: è capacità di discernimento.
Oggi, il punto debole non sembra l’acquisizione d’informazioni, ma la loro lettura: è il discernimento sui dati che difetta; è come se la Chiesa faticasse nel suo radicamento storico (cfr. Evangelium Gaudium, 50). Tra le debolezze che rendono poco incisiva la lettura dei segni dei tempi nella Chiesa c’è sicuramente quello di una gerarchia ecclesiastica che fatica ad entrare in sinergia con i fedeli laici: quale è la qualità dei luoghi e dei tempi dove si ascolta il senso della fede dei fedeli (sensus fidei fidelium)?

Quello del sensus fidei fidelium è un tema teologico ma, prima ancora, è un’esperienza di Chiesa di cui poco ci si avvale e che fatica ad emergere nella pratica del discernimento ecclesiale a causa di un modello ecclesiologico assunto acriticamente e che divide il popolo di Dio in chiesa docente e chiesa discente e ciò nonostante si sappia che “Il sensus fidei impedisce di separare rigidamente tra Ecclesia docens ed Ecclesia discens, giacché anche il Gregge possiede un proprio fiuto per discernere le nuove strade che il Signore dischiude alla Chiesa” (Papa Francesco, Commemorazione del 50° anniversario dell’istituzione del sinodo dei vescovi). Tuttavia, se si vuole fare una vera teologia del Popolo di Dio, una convinta sinodalità che sappia andare oltre la semplice simpatia per papa Francesco, un autentico rilancio del laicato e della sapienza che matura nel vissuto familiare, non si può prescindere da esso. Non cercare forme permanenti di espressione del sensus fidei fidelium significa aggravare lo scollamento tra la fede proposta e quella vissuta, alimentando la debolezza del discernimento e, ancor più, non riuscire a testimoniare la fraternità intraecclesiale.

FG